mercoledì 31 gennaio 2018

Zambia. Ricercate due donne colpevoli solo di volersi bene

In Zambia è caccia all’uomo. Anzi alla donna, a due donne.


La polizia ha lanciato un appello affinché le gente che sa parli. Dia cioè indicazioni per trovare le "colpevoli". La colpa delle due? Essere lesbiche ed essersi fatte riprendere in atteggiamenti intimi in un video che è poi diventato virale.

Gli agenti dell’unità che combatte il cyber crimine hanno avviato indagini su tutto il territorio nazionale perché la relazione tra due persone dello stesso sesso (uomini o donne) è punita dal codice penale. «Qualsiasi donna, è scritto nel codice, che in pubblico o in privato, commette un atto di grave indecenza con una figlia o un’altra persona, e coinvolge una figlia o a un’altra persona in un atto di grave indecenza [...] commette un crimine». Le pene sono particolarmente severe: da sette a quattordici anni a seconda della gravità.

Non è chiaro dove sia stato girato il video, ma le immagini mostrano le due donne in un posto che sembrava un pub. La portavoce della polizia Esther Katongo ha dichiarato che gli agenti useranno il pugno di ferro perché l’ordinamento: «punisce i reati innaturali e la diffusione di immagini che promuovono atti contro l’ordine naturale»

Lo Zambia, come la maggior parte dei Paesi africani, ha leggi che criminalizzano le unioni tra persone dello stesso sesso, nonostante negli ultimi anni siano nati gruppi che lottano per i diritti di gay, lesbiche e transgender.

Tanzania, Zimbabwe, Uganda, Nigeria e altri Paesi prevedono pene severe contro l’omosessualità e il lesbismo. Solo il Sudafrica, una delle rare eccezioni, tutela le relazioni omosessuali per legge.
(Africa Rivista)

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domenica 28 gennaio 2018

Mafia Nigeriana. Il Comune di Palermo parte civile nel processo contro "Black Axe"

Il Centro Siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato” e il Comune di Palermo parti civili nel processo contro la “Black Axe”, la mafia nigeriana per la prima volta alla sbarra a Palermo.


A Torino e a Brescia “L’ascia Nera” (Black Axe) è già stata riconosciuta come organizzazione di tipo mafioso. La divisione territoriale in Continenti, Nazioni e città, la struttura verticistica, il rigido cerimoniale d’iniziazione, le ferree regole d’appartenenza, ne fanno una pericolosa ma sottovalutata associazione criminale.

Le maggiori fonti di accumulazione finanziaria sono il commercio di droga, il traffico di esseri umani, lo sfruttamento della prostituzione e ora anche le frodi informatiche, le truffe on-line, i trasferimenti di denaro sporco tramite l’underground banking.

Ma l’attività più evidente e odiosa, quella che però spesso non si vuole affrontare, è senz'altro quella della “Tratta, la compra-vendita delle ragazze poco più che adolescenti. Tutto inizia dalle condizioni miserevoli della Nigeria: spesso è la stessa famiglia d’origine, d’accordo con i trafficanti, che spedisce la giovane in Europa. Questa, per ripagare il viaggio e le spese di mantenimento, deve vendere il proprio corpo per venti euro a prestazione, fino a risarcire l’Organizzazione di 25-45 mila euro. Un calvario di anni e anni di ricatti, minacce, degrado, torture, e qualche volta anche la morte.

Nino Rocca del Centro Impastato che da anni segue questo fenomeno. “Il controllo sulle giovanissime ragazze che sono costrette a vendere il proprio corpo è continuo e capillare. Da quando partono dalla Nigeria, lungo tutto il viaggio nel deserto, fino alla Libia, poi l’imbarco sui gommoni, l’arrivo nei centri d’accoglienza in Italia, fino allo smistamento nelle varie città, la “Black Axe” segue passo passo queste donne. È un’organizzazione molto abile e strutturata. Sono capaci di spostare le ragazze in 24 ore

A Palermo, tra le vie Oreto, Roma, Maqueda, corso Tukory, all’interno di Ballarò, sono più di trenta le “Connection house” dove si esercita il sesso a pagamento. Non solo, quindi, nelle strade, tra i viali della Favorita o a piazza Tredici Vittime, ma anche all'interno di case diroccate e cadenti del centro storico.

Associazione "Donne di Benin City", Palermo
Con l’associazione “Donne di Benin City”, a Palermo abbiamo aiutato ad uscire da questo inferno quasi venti donne. Ma è un percorso difficile, pericoloso e che soprattutto non è compreso dagli organi istituzionali competenti. Prima di tutto non si tratta di “minori non accompagnati”, ma, al contrario, di persone seguite e monitorate ogni momento dalla “Black Axe”: dai villaggi del loro Paese fino a quando dimorano qui nelle case delle “mamam” che le sfruttano. Poi, quando tentano di fuggire dalla loro condizione, i giuramenti woodoo, le minacce alla famiglia in Nigeria, i complicatissimi iter giudiziari-burocratici, scoraggiano queste ragazze, che spesso rimangono incinta, dal proseguire nei racconti e nelle dichiarazioni agli organi di Polizia”

Formata da nigeriane che in passato hanno subito questo destino, l’associazione “Donne di Benin City” sembra aver imboccato la strada giusta per aiutare le giovani vittime. Con le stesse storie, nel loro dialetto, con la piena comprensione di chi ha vissuto le medesime esperienze, le accolgono e le ascoltano. Danno speranze e conforto a chi tenta di uscire disperatamente dall'incubo della “Tratta”

Il Processo
Il procedimento nasce da un’indagine della procura di Palermo iniziata nel 2015 a carico di una organizzazione mafiosa transnazionale, con base in Nigeria, denominata Black Axe, l’ascia nera. Gli investigatori della squadra mobile scoprirono un clan che aveva la gestione e il controllo di una serie di attività economiche illecite: dalla riscossione di crediti, allo sfruttamento della prostituzione e al traffico di stupefacenti.

La banda, che aveva il quartier generale nel quartiere storico di Ballarò e cellule anche in altra città italiane, era organizzata secondo una struttura verticistica basata su rigide regole fatte di “battesimi“, riti di affiliazione dei membri e precisi ruoli all'interno del sodalizio simili a quelli di Cosa nostra.

Tra gli arrestati c’è anche il capo del clan Festus Pedro Erhonmosele e il suo vice Osahon Kennet Aghaku, nigeriano, di 22 anni che si occupava personalmente di punire chi disubbidiva.

A svelare i meccanismi dell’associazione criminale, dopo il blitz, fu uno degli arrestati che ha scelto di collaborare con gli inquirenti. Nel corso dell’udienza in cui diversi imputati hanno anche chiesto l’interrogatorio, ci sono stati momenti di tensione tra i legali e il giudice. I legali hanno lamentato l’irritualità dell’udienza in cui, hanno sostenuto, i tempi avrebbero limitato i diritti di difesa.

L'udienza che ha rinviato a giudizio gli imputati e che ha il via al processo si è svolta nel capoluogo siciliano in novembre. Cinque rinvii a giudizio per associazione mafiosa. Solo che le persone che saranno processate per 416 bis a Palermo non sono esponenti di Cosa nostra. Nel capoluogo siciliano, infatti, arrivano i primi dibattimenti su una mafia nuova: quella nigeriana. Dopo un’udienza-fiume di oltre dieci ore che ha evitato la scadenza dei termini di custodia cautelare e la scarcerazione dei componenti della banda, il gip di Palermo ha rinviato a giudizio 5 dei 19 imputati. Quattordici hanno scelto l’abbreviato. La seconda udienza del processo è fissata per il 6 febbraio. Oltre al reato di associazione mafiosa, mai contestato a una organizzazione straniera prima d’ora nel capoluogo siciliano, rispondono a vario titolo di lesioni e violenza sessuale.

Black Axe
Nata negli anni ’70 all'università di Benin City, in Nigeria, come una confraternita di studenti, Black Axe all'inizio è una gang a metà tra un’associazione religiosa (li chiamano culti) e una banda criminale, che stabilisce riti d’iniziazione e impone ai suoi affiliati di portare un copricapo, un basco con un teschio e due ossa incrociate, come il simbolo dei corsari.

Diverse indagini avevano ricostruito come da qualche anno i tentacoli di questa nuova piovra criminale siano arrivati anche in Italia, dove i boss nigeriani hanno iniziato a dettare legge nei sobborghi di città come Brescia e Torino: droga, spaccio, gestione delle prostitute e un regime di terrore molto simile a quello che è il marchio di fabbrica delle mafie di casa nostra.

Già nel 2011 un’informativa dell’ambasciata nigeriana a Roma aveva dato l'allarmeVorrei attirare la vostra attenzione sulla nuova attività criminale di un gruppo di nigeriani appartenente a sette segrete, proibite dal governo a causa di violenti atti di teppismo: purtroppo gli ex membri di queste sette che sono riusciti ad entrare in Italia hanno fondato nuovamente l’organizzazione qui, principalmente con scopi criminali


Leoluca Orlando, sindaco di Palermo
Il Gup Claudia Rosini, nel corso dell’udienza di stamani, ha rigettato le opposizioni dei difensori ed ha ammesso la costituzione di parte civile del Comune di Palermo, rappresentato dall'avvocato Giovanni Airò Farulla, nel processo alla cosiddetta mafia nigeriana, accusata di sfruttamento della prostituzione, traffico di stupefacenti e riduzione in schiavitù.

"Confermiamo il nostro impegno - ha dichiarato il Sindaco, Leoluca Orlando - in tutte le sedi e con tutti gli strumenti possibili sul fronte del contrasto alla tratta. Il Comune ribadisce, con questo atto, la sua vicinanza alle vittime, un passo che si affianca alle tante azioni realizzate in questi anni con le associazioni, i comitati e con tantissime cittadine e cittadini"

La prossima udienza del processo, in corso di svolgimento presso il Tribunale di Palermo, è fissata per il 6 febbraio prossimo.
Comunicato stampa del Comune di Palermo (25 gennaio 2018)

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UNHCR. Scuola e istruzione per i bambini rifugiati

Istruzione, il futuro dei bambini rifugiati al bivio. Una campagna per aiutarli. Con un sms al 45516 sarà possibile donare 2 euro e contribuire all'istruzione di un bambino per un mese.


Un bambino che non va a scuola è un bambino vulnerabile. Partendo da questo presupposto non è difficile immaginare l’importanza che l’educazione raggiunge per i minori che hanno dovuto abbandonare il proprio paese e con esso tutto il mondo a loro familiare per sfuggire alla guerra, alla fame e alle persecuzioni.

Si può fare. Per questo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati sta promuovendo la campagna #mettiamocelointesta che grazie ad un sms al 45516 rende possibile donare due euro: l’ammontare di un mese di scuola di un bambino rifugiato in un paese in via di sviluppo.

È importante fare campagne di questo genere – sottolinea Carlotta Sami, portavoce dell'Unhcr per il Sud Europa - perché i dati sono preoccupanti. Circa la metà dei rifugiati è minorenne e se non si inizia da subito a garantire l’accesso all'istruzione così come si fa per cibo e cure mediche il rischio è poi di avere degli adulti che non saranno in grado di prender in mano la propria vita

L'iniziativa. Con la Campagna “Mettiamocelo in Testa. Solo l’istruzione può salvare la vita e il futuro di un bambino rifugiato” le Nazioni Unite sosterranno il programma “Educate a Child”. Avviato nel 2012 in 12 paesi questo progetto ha garantito, nei primi 5 anni, accesso all'istruzione a 1 milione di bambini rifugiati.

Prima che sia tardi. Instabilità politico-economica, guerre, carestie, regimi dittatoriali: sono queste le cause che spingono le persone a fuggire verso una nuova vita. Si stima che nel mondo ci siano circa 65 milioni tra sfollati e rifugiati. L’86% ha cercato rifugio in paesi vicini alla patria ma spesso poveri, in via di sviluppo dove l’accesso all'istruzione è difficile.

I rifugiati rimangono tali mediamente per 18-20 anni prima di poter tornare nei loro paesi di provenienza, dobbiamo quindi iniziare a investire sui più giovani prima che sia troppo tardi


Una generazione perduta. I dati dell’educazione dei minori rifugiati sono allarmanti: stando al rapporto “Left Behind”, più di 3,5 milioni di bambini sono stati esclusi dall'educazione scolastica nell'ultimo anno accademico: di questi, 1,5 milioni non hanno frequentato la scuola primaria e 2 milioni la scuola secondaria. Le percentuali dei bambini che hanno accesso all'istruzione non sono più rassicuranti: solo il 61% dei bambini rifugiati va a scuola (il 50% nei paesi a basso reddito) mentre la media mondiale è del 90%.

Istruire come curare. L’educazione dunque deve essere intesa come un bene di prima necessità, non meno importante delle cure mediche o del cibo. Il futuro dei propri figli è infatti il primo motivo che spinge intere nuclei alla fuga.

“Il motivo per il quale molte famiglie fuggendo vendono tutti i loro beni, chi un’auto chi una casa è dare un’educazione ai propri figli. È il primo motore, ancora più del trovare lavoro per i genitori: sanno che solo così i figli potranno crescere e realizzarsi, rendersi autosufficienti”

La scuola contro le violenze. L’educazione dunque rappresenta una garanzia per il futuro, ma nel presente è un modo, il più efficace per salvare i bambini da arruolamenti, matrimoni forzati e altre innumerevoli forme di sfruttamento.

“Tenere i bambini a scuola vuol dire togliere dalle loro mani un’arma e metterci un quaderno e un libro. Le bambine non solo vengono arruolate, ma ridotte anche in schiavitù. Gli istituti sono luoghi dove si distribuiscono pasti che spesso le famiglie non hanno la possibilità di comprare, ci sono le divise che spesso sono gli unici abiti a disposizione, dove si fanno le campagne di salute, vaccinazioni. Diventa così il centro della loro vita”


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"Scuole in Africa"
- clicca qui -



Articolo a cura di
Maris Davis

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Emilia-Romagna, arrivano i contributi per contrastare la tratta

Con il progetto "Oltre la Strada" la Regione assiste le ragazze che sono vittime di tratta e prostituzione coatta.


La Regione Emilia-Romagna conferma l'impegno a contrastare la tratta di esseri umani. Il progetto "Oltre la Strada", un sistema di interventi socio-sanitari, è risultato anche quest'anno tra quelli selezionati dal bando nazionale del Dipartimento per le Pari opportunità, ottenendo un finanziamento di oltre 1,6 milioni di euro, ai quali si sommano 172 mila euro di risorse regionali.

Per la tutela e la promozione agli uomini e alle donne vittime di vessazioni, la Regione metterà in campo in tutto quasi 1,8 milioni di contributi. Tra le novità inserite nel bando e accolte nel progetto regionale il potenziamento delle strutture ad indirizzo segreto (case protette) e di quelle destinate all'accoglienza residenziale. In Emilia-Romagna, quindi, agli oltre 250 posti già presenti (dislocati nelle 80 strutture esistenti, diversificate per destinatari e tipologia di accoglienza) se ne aggiungeranno altri 24.

I numeri
Sono 965 le persone assistite grazie al progetto che è attivo dal 2013. Si tratta soprattutto di donne (792, pari all’82% degli assistiti); la forma di sfruttamento più diffusa è quella sessuale (75,6%). Seguono per numero, anche se in percentuali inferiori, le vittime di tratta a scopo di sfruttamento lavorativo (14,7%), che avviene soprattutto in agricoltura, edilizia, nel settore dell’artigianato e della ristorazione.

Il progetto ha sviluppato forme di collaborazione con Prefetture e la Commissione territoriale di Bologna per aiutare le ragazze immigrate e avviate alla prostituzione

Si tratta principalmente di donne provenienti dalla Nigeria (il 51,6% delle prese in carico dal progetto “Oltre la strada”). Tra i migranti che transitano in Emilia-Romagna, oltre alle donne nigeriane ad essere facile preda della criminalità organizzata sono anche gli uomini, perlopiù provenienti dal Pakistan, Bangladesh e Nigeria. Sfruttati, nei primi due casi, soprattutto nei lavori agricoli, i nigeriani principalmente nell'accattonaggio e in altre attività illegali.

Gli enti gestori
sono accreditati alla seconda sezione del registro per l’immigrazione e svolgono presa in carico, gestione dei percorsi e raccolta dati.

In cosa consiste il progetto
Le azioni del progetto comprendono: interventi per l’emersione e l’accoglienza (diversificati in relazione al genere, tipo di sfruttamento, presenza di figli), tutela sanitaria e legale, sostegno psicologico, regolarizzazione, formazione e inserimento lavorativo.

I programmi spesso si concludono con la piena autonomia abitativa e lavorativa, oppure con il rientro assistito nel Paese di origine. Avvengono inoltre interventi di prevenzione sanitaria rivolti a persone che si prostituiscono attraverso le unità mobili di strada.
(In Terris)

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sabato 27 gennaio 2018

Kabul, strage rivendicata dai talebani. 95 morti e 163 feriti

Un attentato con un'ambulanza imbottita di esplosivo nel centro di Kabul in Afghanistan ha fatto 95 morti e 163 feriti. Una settimana fa l'attacco all'Hotel Intercontinental.


L'esplosione si è verificata vicino al vecchio edificio del ministero degli interni, in una zona dove si trovano gli uffici dell'Unione europea e di una agenzia di intelligence afghana.

"L'attentatore suicida ha usato un'ambulanza per passare attraverso i checkpoint, ha passato il primo checkpoint dicendo che stava portando un paziente all'ospedale di Jamuriate e al secondo varco di sicurezza è stato riconosciuto e ha fatto esplodere il veicolo carico di esplosivo". Lo ha detto il portavoce del ministero degli Interni, Nasrat Rahimi.

I talebani dell'Emirato islamico dell'Afghanistan hanno rivendicato l'attentato via Twitter dal portavoce del movimento, Zabihullah Mujahid.

Tutti gli ospedali sono in piena emergenza e in quello di Emergency, il portavoce Dejan Panic ha detto che con sette morti e 70 feriti ricevuti, "siamo al massimo delle nostre possibilità"


L'esplosione della ambulanza-bomba ha causato gravi danni agli edifici, alle auto e alle infrastrutture nella zona di Sedarat Square, vicino alla nota Chicken Street, dove a circa 200 metri si trova anche la sede della delegazione dell'Unione Europea.

Nell'ultimo anno la capitale afgana è stata colpita più volte da attentati con esplosivi poi rivendicati dall'Isis e dai Talebani.

Solo una settimana fa l'attentato con 43 morti all'Hotel Intercontinental e un attacco (rivendicato dallo Stato Islamico) con 24 feriti all'ong Save the Children a Jalalabad.
(La Repubblica)

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Rosarno. Incendio nella baraccopoli dei migranti, muore una donna nigeriana

Rosarno, incendio nella baraccopoli dei migranti: morta una donna nigeriana, altre due ferite. Almeno 600 rimasti senza alloggio.


Il rogo è divampato prima dell'alba a San Ferdinando, nella zona industriale alle spalle del porto di Gioia Tauro. Distrutte circa 200 baracche.

Morta una donna. Ma c’e anche qualche ferito nell'incendio che si è verificato la scorsa notte all'interno della tendopoli di San Ferdinando, che si trova nella zona industriale alle spalle del porto di Gioia Tauro. Ancora non si conoscono le cause del rogo divampato prima dell’alba, intorno alle 4.30.

La vittima è una donna nigeriana che si trovava nella parte vecchia della tendopoli. Si chiamava Becky Moses e aveva 26 anni. Era arrivata solo da pochi giorni dopo che le era stato negato il permesso di soggiorno per ragioni umanitarie. Il suo corpo è completamente carbonizzato. Altre due donne sono rimaste ferite in modo grave e sono state accompagnate in ospedale.

L’incendio, domato dai vigili del fuoco, ha interessato e distrutto circa 200 baracche. Sul posto, oltre le forze dell’ordine, è intervenuta la protezione civile. È in corso una riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica presieduto dal prefetto di Reggio Calabria che, alle 8.30, ha tenuto una conferenza stampa.

Nel corso dell’incontro tenuto in prefettura, è scritto in una nota stampa, “sono state pianificate urgenti iniziative per far fronte alle esigenze degli extracomunitari interessati e il prefetto Michele Di Bari, avvalendosi dell’ausilio della Protezione civile regionale, ha disposto l’allestimento di una cucina da campo in grado di soddisfare le primarie esigenze alimentari di almeno 500 persone

Ai migranti rimasti senza baracca saranno forniti kit igienici, sacchi a pelo e coperte. Sono state avviate le indagini per ricostruire la causa del rogo. Probabilmente le fiamme sono partite da un focolare che i migranti hanno acceso per riscaldarsi dal freddo. Dalla Prefettura fanno sapere che “si stanno approntando le misure per assicurare assistenza e un pronto ricovero ai migranti. In tal senso, il Dirigente regionale della Protezione civile inizierà ad approntare una tensostruttura e una cucina da campo“. Questa dovrà ospitare circa 600 migranti rimasti senza baracca.

Purtroppo però, come ogni anno, gli stagionali che vivono nella tendopoli di San Ferdinando e Rosarno sono molti di più. In questo momento, infatti, sono oltre duemila i migranti presenti tra la tendopoli nuova, i capannoni utilizzati dalla prefettura nella zona industriale e quelli che vivono nella baraccopoli dove si è verificato l’incendio.

Oltre alla ragazza carbonizzata, originaria della Nigeria, due donne, anch'esse nigeriane, sono state ricoverate con prognosi rispettivamente di 20 e 10 giorni. A poche ore dalla tragedia, gli abitanti della tendopoli sono ancora storditi da quello che è successo. “È una tragedia che si poteva evitare

Verità e giustizia per Becky Moses, uccisa a 26 anni dall’ennesimo incendio a San Ferdinando. Lunedì 29 marcia dei braccianti


Chi risponde della vita di Becky Moses, uccisa stanotte a 26 anni dal fuoco nelle baracche di San Ferdinando? Chi è che dopo riunioni su riunioni, pubbliche promesse e nomine di commissari straordinari non ha mai mosso un dito né ha voluto ascoltare le denunce e gli allarmi dell’Unione Sindacale di Base sulle terrificanti condizioni nelle quali sono costretti a vivere migliaia di braccianti per guadagnare pochi spiccioli raccogliendo arance? Quanto dovremo attendere per avere verità e giustizia?

Perché questo il Comitato lavoratori agricoli Usb chiede da sempre: verità e giustizia, fin dai tempi dell’uccisione di Sekine Traore nella stessa tendopoli di San Ferdinando. Verità e giustizia che si traducano in riscatto sociale e lavorativo dei braccianti. E invece siamo qui, sabato 27 gennaio 2018, a piangere l’ennesima vittima di una strage silenziosa che si consuma nell'indifferenza.

Becky Moses era venuta dalla Nigeria in Italia inseguendo un futuro migliore, come tante, come tanti. Qui, a San Ferdinando, la sua esistenza è stata letteralmente incenerita dalle terribili condizioni nelle quali lei e migliaia di altri migranti sono stati costretti a sopravvivere. Non sono passati nemmeno sei mesi dall'incendio che il 2 luglio aveva già devastato la tendopoli. Da allora tante promesse ma zero fatti.

Questa mattina le fonti ufficiali stanno cercando di far passare la terribile e offensiva versione che sì, la nuova baraccopoli era stata tollerata nell'interesse degli stessi migranti.

Ebbene, l’Unione Sindacale di Base, i braccianti che sotto la sua bandiera hanno deciso di organizzarsi e lottare, gridano con quanta forza possibile il loro NO alle mistificazioni di una politica, a tutti i livelli, capace solo di produrre documenti privi di effetti concreti sulla vita dei migranti. E anzi, se effetti ci sono stati, sono effetti omicidi.

Il Primo Maggio 2017 i braccianti di San Ferdinando, l’esercito della manodopera a buon mercato, hanno marciato fino a Reggio Calabria per reclamare verità e giustizia. Questa mattina gli abitanti della tendopoli scampati al fuoco si sono riuniti e hanno deciso di tornare a marciare lunedì 29 gennaio alle 9, nel nome di Becky Moses uccisa a San Ferdinando dalle logiche disumane dello sfruttamento e del razzismo.

La manifestazione partirà alle 9 dalla tendopoli verso il comune di San Ferdinando, dove braccianti e migranti chiederanno un confronto con il prefetto di Reggio Calabria e con il commissario straordinario per l’area di San Ferdinando.

USB rivolge un appello a tutte le realtà sociali e politiche territoriali affinché condividano e sostengano la marcia, perché verità e giustizia siano fatte, nel nome di Becky Moses.
(Unione Sindacale di Base)

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mercoledì 24 gennaio 2018

Quattro miliardi i soldi spesi dagli italiani per andare a "puttane" in un solo anno

In totale gli italiani spendono 19 miliardi all'anno per droga, prostitute e altre attività illegali.


Gli italiani spendono 19 miliardi di euro all'anno in attività illegali. Lo rileva l’Ufficio studi della Cgia, secondo la quale 
  • all'uso di sostanze stupefacenti vanno 14,3 miliardi,
  • ai servizi di prostituzione 4 miliardi,
  • e per il contrabbando di sigarette 600 milioni di euro.
Un’economia, quella ascrivibile alle attività illegali, che non conosce crisi. L’ultimo dato disponibile ci segnala che il valore aggiunto di queste attività fuorilegge (17,1 miliardi di euro) è aumentato negli ultimi 4 anni di oltre 4 punti percentuali.

"Lungi dall'esprimere alcun giudizio etico, afferma il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo, è comunque deplorevole che gli italiani spendano per beni e servizi illegali più di un punto di Pil all'anno. L’ingente giro d’affari che questa economia produce, costringe tutta la comunità a farsi carico di un costo sociale altrettanto elevato. Senza contare che il degrado urbano, l’insicurezza, il disagio sociale e i problemi di ordine pubblico provocati da queste attività hanno effetti molto negativi sulla qualità della vita dei cittadini e degli operatori economici che vivono e operano nelle zone interessate dalla presenza di queste manifestazioni criminali"


Tra le attività illegali l’Istat include solo le transazioni illecite in cui c’è un accordo volontario tra le parti, come il traffico di droga, la prostituzione e il contrabbando di sigarette e non, ad esempio, i proventi da furti, rapine, estorsioni, usura, ecc. Una metodologia, quest’ultima, molto discutibile che è stata suggerita dall'agenzia statistica della Comunità europea che, infatti, ha scatenato durissime contestazioni da parte di molti economisti che, giustamente, ritengono sia stato inopportuno aumentare il reddito nazionale attraverso l’inclusione del giro di affari delle organizzazioni criminali.

L’elevata dimensione economica generata dalle attività controllate dalle organizzazioni criminali trova una conferma indiretta anche dal numero di segnalazioni pervenute in questi ultimi anni all'Unità di informazione finanziaria (Uif) della Banca d’Italia. Tra il 2009 e il 2016 (ultimo dato annuale disponibile), le segnalazioni sono aumentate di quasi il 380 per cento. Se nel 2009 erano poco più di 21 mila, nel 2016 hanno raggiunto la quota record di 101.065. La tipologia più segnalata è stata quella del riciclaggio di denaro che per l’anno 2016 ha inciso per il 78,5 per cento del totale delle segnalazioni. Sempre secondo la Uif, nel 2016 la totalità delle operazioni sospette ammontava a 88 miliardi di euro, a fronte dei 97 miliardi di euro circa registrati nel 2015.

I gruppi criminali hanno la necessità di reinvestire i proventi delle loro attività nell'economia legale, anche per consolidare il proprio consenso sociale. E il boom di denunce avvenute tra il 2009 e il 2016 costituisce un segnale molto preoccupante. Tra l’altro, dal momento che negli ultimi 2 anni si registra una diminuzione delle segnalazioni archiviate, abbiamo il forte sospetto che l’aumento delle denunce registrato negli ultimi tempi evidenzi come questa parte dell’economia sia forse l’unica a non aver risentito della crisi

A livello regionale la Lombardia (253,5), la Liguria (185,3) e la Campania (167) sono le realtà che nel 2016 hanno fatto pervenire il più elevato numero di segnalazioni (ogni 100 mila abitanti).

Su base provinciale, infine, le situazioni più a rischio (oltre 200 segnalazioni ogni 100.000 abitanti) si registrano nelle province di confine di Como, Varese, Imperia e Verbano-Cusio-Ossola. Altrettanto critica la situazione a Rimini, Milano, Napoli e Prato. Poco più sotto (range tra 170 e 199 segnalazioni ogni 100 mila abitanti) scorgiamo le province di Treviso, Vicenza, Verona, Bergamo, Brescia, Novara, Genova, Parma, Firenze, Macerata, Roma, Caserta e Crotone.
(adn Kronos)



Articolo a cura di
Maris Davis

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ONU. Necessari 1,6 miliardi di dollari per combattere siccità in Somalia

Le Nazioni Unite necessitano di 1,6 miliardi di dollari da impiegare Somalia, per cercare di migliorare la situazione umanitaria, che sta peggiorando sempre di più a causa della siccità.


L’ufficio dell’Onu in Somalia ha reso noto che, nel 2018, lancerà un piano per cercare di migliorare le condizioni dei territori somali, e per salvaguardare la vita di almeno 5,4 milioni di persone. “Sono orgoglioso che nel 2017 abbiamo evitato la diffusione di una carestia, tuttavia, c’è ancora molto da fare per rimettere in senso il Paese”, ha affermato il coordinatore umanitario per la Somalia, Peter de Clercq. A suo avviso, i progetti futuri potranno migliorare la situazione del Paese nel breve termine, ma saranno necessari aiuti maggiori per trovare soluzioni definitive. “Se noi continuiamo a salvare le vite senza portare avanti in parallelo un progetto di lungo termine, allora non avremo evitato la carestia, ma l’avremo solo rimandata

A partire dall’inizio del 2017, le condizioni umanitarie in Somalia sono peggiorate significativamente, facendo rischiare milioni di cittadini di morire di fame. Nel marzo dello scorso anno, il primo ministro somalo, Hassan Ali Khaire, ha annunciato per 110 persone erano morte nel giro di due giorni a causa della fame e di malattie infettive, come la diarrea. Da allora, gli ufficiali di Mogadiscio hanno lanciato l’allarme, chiedendo maggiori aiuti.

È previsto che nel 2018 circa 1,2 milioni di bambini soffrano di malnutrizione, 232.000 dei quali rischieranno la vita

Oltre alla grave crisi umanitaria, la Somalia è dilaniata da una violenta guerra civile che contrappone le forze governative ai militanti di al-Shabaab, una potente organizzazione terroristica somala, fondata nel 2006 e affiliata ad al-Qaeda. Il Country Report on Terrorism 2016, pubblicato nei giorni scorsi dal governo americano, ha inserito la Somalia al primo posto tra i Paesi considerati “safe heavens” (rifugio sicuro del terrorismo in Africa). Con tale termine, il rapporto indica quegli Stati in cui le organizzazioni terroristiche sono in grado di operare liberamente per colpa di una governance locale inadeguata e incapace di contrastare le attività terroristiche.
(LUISS Sicurezza Internazionale)

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Meningite di tipo C. All'allarme dell'OMS, rischio epidemia in Africa occidentale

La notizia dovrebbe essere presa in seria considerazione dalle autorità europee e nazionali per predisporre a tambur battente gli opportuni meccanismi di precauzione sanitaria.

Mappa della meningite in nell'Africa sub-sahariana

Il mondo si fa sempre più piccolo e secondo la famosa teoria economica delle catastrofi “un battito di una farfalla in Brasile può causare un ciclone in Florida”, così un rischio epidemia in Africa può diventare un fenomeno globale. Ma torniamo alla notizia in sé: c’è il rischio di un’importante epidemia di meningite da meningococco C in Africa occidentale.

L’allarme è stato lanciato l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Lo riferisce Swissinfo.ch fornendo dettagli degni di nota e di maggiore attenzione e approfondimento. Anche il nostro paese sembra si sia già mobilitato in alcune Asl per fornire assistenza e medicinali ai paesi colpiti.

La stagione infettiva sta iniziando e nello stesso tempo si registra la circolazione di un nuovo ceppo del batterio altamente invasivo e una grave carenza dell’apposito vaccino.

Elementi che, uniti, secondo l’Oms potrebbero provocare una “catastrofe” che può arrivare a colpire i 34 milioni di persone che vivono in quella che gli esperti definiscono come la “cintura” africana della meningite, un’area territoriale che copre ben 26 Paesi. Possibile? Secondo gli esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità la risposta è sì.

Solo l’anno scorso la meningite di tipo C ha causato 18mila casi tra Nigeria e Niger e si può arrivare fino a 670 casi per 100mila persone, visto che l’immunità della popolazione è molto bassa e il batterio sta già circolando nei paesi vicini, come Burkina Faso e Mali, e può diffondersi anche in Liberia, al di fuori della Cintura. La aree rurali sono quelle più soggette perché più povere e meno attrezzate di quelle urbane.

Per affrontare questo rischio di epidemia e cercare di arginare un’epidemia su larga scala, l’Oms ha chiesto alle aziende farmaceutiche e ai donatori di aumentare la disponibilità del vaccino. Le scorte di emergenza a livello internazionale per il 2018 ammontano solo a 2,5 milioni di dosi con il ceppo C, ma ne servono almeno altri 10 milioni di dosi per il 2018-2019.

Ora la palla passa ai donatori e alle istituzioni preposte, oltre che alle aziende farmaceutiche. Insomma sarebbe necessaria una ampia mobilitazione internazionale per meglio affrontare la situazione prima che sfugga di mano e diventi una emergenza globale.
(Il Sole24Ore)

La prima cosa da sapere è che la meningite C è di tipo batterica. La meningite infatti può essere provocata sia da batteri sia da virus, quella più temibile è quella batterica dovuta principalmente a tre germi: emofilo tipo B, pneumococco, meningococco. Le forme di meningite dovute a virus sono generalmente a decorso benigno. La gravità della meningite batterica è più elevata in età pediatrica: gli esiti neurologici a permanenti si manifestano nel 30-35% dei casi; la mortalità nel 5-10% dei casi.

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martedì 23 gennaio 2018

Rapporto Oxfam, l'1% della popolazione ricca possiede quanto il 99% del resto del mondo

Le 42 persone più ricche possiedono di più di quello che possiedono i 3,7 miliardi di persone più povere.


Negli USA un giorno di stipendio di un amministratore delegato vale come un anno dello stipendio di un dipendente nella stessa azienda. In Italia l'1% più ricco ha 240 volte più del 20% più povero.

Alla vigilia del World Economic Forum di Davos, l'Ong chiede ai big dell'economia di 'ricompensare il lavoro, non la ricchezza'

Ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri. Quarantadue ricconi possiedono più di 3,7 miliardi di persone. Il divario cresce, nel mondo e anche in Italia. L'1% più ricco della popolazione mondiale continua a possedere quando il restante 99%. Ma si arricchisce sempre di più: l'82% dell'incremento di ricchezza netta registrato nel mondo tra marzo 2016 e marzo 2017 è andato in tasca a questi Paperoni. Nemmeno un centesimo, invece, è finito alla metà più povera del pianeta, che conta 3,7 miliardi di persone. Il contrasto è evidente visto che, conti alla mano, ogni due giorni si registra l'arrivo di un nuovo miliardario.

L'ong britannica Oxfam ha pubblicato un nuovo rapporto sulla ricchezza nel mondo alla vigilia del World Economic Forum di Davos, che vede riuniti nella cittadina svizzera il gotha mondiale dell'economia e della politica.



L'Ong britannica ha deciso di intitolare il rapporto: 'Ricompensare il lavoro, non la ricchezza' sottolineando che i salari non hanno mantenuto il passo con la produttività e il lavoro è sempre più sottopagato, precario e rischioso. I dati indicano infatti come ad un costante incremento dei profitti di azionisti e top manager corrisponde un peggioramento altrettanto costante dei salari e delle condizioni dei lavoratori.

Negli Usa si calcola che un amministratore delegato possa percepire in poco più di un giorno una cifra pari al reddito medio che un suo dipendente percepisce in un anno. Discorso che è ancora più grave per le donne, che subiscono in media un divario retributivo del 23% rispetto ai colleghi uomini. In Bangladesh, il top manager di una delle prime cinque compagnie dell'abbigliamento guadagna in 4 giorni quando una sua lavoratrice in una intera vita.

Tra le proposte della Ong, c'è quella di porre un tetto ai super-stipendi dei top manager per impedire che il divario superi il rapporto 20 a 1.

I ricchi dovrebbero vivere più semplicemente affinché i poveri possano semplicemente vivere
(Gandhi)


La situazione italiana
Il problema della disuguaglianza è globale, e l'Italia non fa certo eccezione. L'Italia è infatti parte integrante della fotografia di Oxfam che, nel 2016, la piazzava ventesima (su 28) in Europa per disparità di reddito disponibile. Basti pensare che i 14 italiani più ricchi possiedono 107 miliardi di dollari, vale a dire il 30% di quello che detiene tutto il resto dei cittadini.

Parlando in percentuali, il 20% più ricco degli italiani detiene oltre il 66% del reddito totale, lasciando alla metà più povera del paese appena il 14,8%. Gli impressionanti dati raccolti sul nostro Paese ci mostrano poi che l'1% più ricco possiede 240 volte il patrimonio del 30% più povero.

Lo scenario non cambia se si considera il reddito disponibile pro-capite: Dal 1988, nonostante il paese si sia arricchito notevolmente, il 10% più povero degli italiani ha potuto contare solo su un aumento di reddito dell'1%, vale a dire 4 dollari pro-capite l'anno. Il 20% più ricco ha invece intascato il 40,4% dell'incremento della ricchezza.

Questo aumento continuo della disuguaglianza non solo c'è ma, secondo il rapporto Oxfam, si vede. La sezione italiana dell'organizzazione, in vista delle elezioni politiche italiane, ha inviato una lettera ai candidati premier nella quale si legge che "il 61% degli italiani percepisce una crescita della disuguaglianza nel Paese" e oltre i due terzi del campione interpellato non ritiene equa la retribuzione corrisposta per il lavoro svolto, anche se si accontenta "visti i tempi che corrono"

Rapporto Oxfam
(integrale in italiano)
"Ricompensare il lavoro, non la ricchezza"

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