mercoledì 22 novembre 2017

Genocidio e Crimini contro l'Umanità. Condannato all'ergastolo il boia di Srebrenica

Tribunale dell'Aia. L’ex generale dell’esercito serbo-bosniaco, Ratko Mladic, accusato per genocidio e crimini contro l’umanità, ha atteso il verdetto fuori dall’aula dopo aver dato in escandescenze al momento della lettura della sentenza.


Bosnia-Erzegovina, 11-22 luglio 1995. In quei giorni le truppe del generale Ratko Mladic coadiuvate da gruppi para-militari, attorno alla cittadina di Srebrenica, massacrarono 8.373 civili di fede mussulmana, 1.500 erano bambini. A distanza di 22 anni il tribunale internazionale ha condannato il principale artefice di quelle atrocità.

Ergastolo, dice il giudice nel silenzio dell’aula, davanti alla sedia lasciata vuota da Mladic: «I crimini commessi figurano tra i più vergognosi conosciuti dal genere umano, includono il genocidio e lo sterminio come crimini contro l’umanità». Ci sono voluti più di vent’anni d’attesa, quindici di latitanza e quattro di processo. Trecento testimoni, diecimila elementi di prova. Ore ad ascoltare i suoi deliri difensivi, «l’ho fatto per proteggere l’Europa dall’Islam!». Gli appigli a qualsiasi cavillo, «non esiste traccia d’un mio ordine scritto!». Le inattaccabili tesi dell’accusa, «la prova della pulizia etnica è nel fatto che i musulmani sono spariti da molti villaggi bosniaci». I disperati tentativi dei suoi legali per sottrarlo alle udienze, «sta male, bisogna curarlo in Russia»

Le sceneggiate all’udienza di chiusura, le escandescenze che hanno costretto il presidente del Tribunale internazionale a espellerlo dall’aula. Alla fine, molto alla fine, la giustizia è arrivata: all’età di 74 anni il generale serbo-bosniaco Ratko Mladic, il macellaio che dal 1991 al 1995 martirizzò Sarajevo e «ripulì» tutta la Bosnia, 100mila morti e due milioni 200mila sfollati, l’uomo che a Srebrenica ordinò il più grande massacro mai visto dalla Seconda guerra mondiale, più di 8mila ammazzati, è stato condannato a vita.

I capi d’imputazione erano undici, ma solo per abbreviare la durata del processo. I tre giudici dell’Aja, l’olandese Alphons Orie, il sudafricano Bakone Moloto e il tedesco Christoph Flugge, si sono concentrati sul genocidio a Srebrenica e in altre sei città, sulla persecuzione dei musulmani e dei croati, sul bombardamento su Sarajevo e sul cecchinaggio dalle colline che fecero 10mila morti (1.500 erano bambini), sulla presa in ostaggio di caschi blu dell’Onu… Impossibile esaminare tutte le migliaia di stupri, razzie, devastazioni della più spaventosa guerra mai vista in Europa dopo il nazismo. La sua latitanza è durata quanto quella di Eichmann, ma la sentenza è stata infinitamente più lieve.

Non scandalosa come i 40 anni che furono inflitti a Radovan Karadzic, l’ideologo dei massacri. Ma comunque un solo, simbolico ergastolo «in considerazione dell’età e delle condizioni di salute dell’imputato», a chiudere questa Norimberga dei Balcani. Lui è «il paradigma del male», commenta l’alto commissario Onu per i diritti umani, Zeid Raad al Hussein: «Questa sentenza è un avvertimento agli autori di crimini del genere: non si sfugge alla giustizia»

Ratko Mladic
Mladic è apparso nelle vesti d’un militare in congedo, con la giacca e la cravatta. Ostentando la sua malattia, chiedendo d’interrompere per andare in bagno e ci resta 40 minuti, poi dicendo d’avere una crisi ipertensiva (i suoi legali hanno chiesto l’ennesimo rinvio), quindi sbraitando: il giudice olandese alla fine ha ordinato alle guardie di portarlo in un’altra stanza, ad ascoltare da lì la condanna. Mladic adesso tiene gli occhi chiusi, quando arriva la sentenza. Ma quegli stessi occhi li teneva ben aperti all’epoca e in mimetica accarezzava sulla testa i ragazzini, per poi ordinarne l’esecuzione.

«Da sopravvissuta, commenta Lejla Deljanin, 37 anni, che nel 1992 era una bambina e fu colpita alla testa mentre correva sul famoso viale dei cecchini, credo che qualunque pena sia comunque troppo breve per lui. E insufficiente di fronte a tutte le vite che ha distrutto»

Il fidato boia di Milosevic e di Karadzic ha assistito alla lettura del verdetto. I suoi medici fino all’ultimo hanno tentato d’impedirglielo, accusando l’Onu di non dare le cure adeguate al recluso, proponendo di ricoverarlo a Mosca e chiedendo di rinviare il processo, «perché Mladic ha già avuto due ictus e un infarto, soffre di disturbi cerebrali, lo stress di una condanna potrebbe portarlo anche alla morte»

L’unico figlio rimasto a Mladic, sopravvissuto alla sorella Ana che si suicidò per la vergogna e l’orrore, è invece comparso all’Aja assieme a un gruppo d’irriducibili nazionalisti. Gli ultras sono stati tenuti a buona distanza dai 150 rappresentanti delle associazioni di vittime, che aspettavano la sentenza di fronte al tribunale. Un esagitato è riuscito, gridando «Mladic eroe!», a sventolare una bandiera serba.

«Mio padre non è colpevole di nulla, dice Darko Mladic, arrivato apposta da Belgrado, ho sempre pensato che qualunque verdetto di questa corte non sarebbe stato accettabile dalla mia famiglia. Ogni analisi legale dimostra che l’accusa non è riuscita a provare il suo coinvolgimento»

Mladic rimane un’icona per molti serbi, in Vojvodina è facile comprare magliette e spillette col suo volto, la conferma s’ebbe quando un pope benedì una strada a lui intitolata. «Il generale continua a essere una leggenda per il nostro popolo, tempo fa venne all’Aja a difenderlo l’attuale presidente della Repubblica serba di Bosnia, Milorad Dodik, e una sentenza di colpevolezza non farebbe che rafforzarne il mito»

I conti con la giustizia sono finalmente arrivati. Quelli con la coscienza, anche per un popolo che in gran parte non li ha mai fatti, chissà.
(Corriere della Sera)


Strage di Srebreniça. Sono passati 22 anni dalla carneficina di Srebrenica: l’11 luglio 1995 ha avuto luogo quello che è passato alla storia come «il più feroce massacro in Europa dai tempi del nazismo»

Nella zona protetta di Srebrenica, che all’epoca era sotto la tutela delle Nazioni Unite, in pochi giorni oltre ottomila bosniaci musulmani, uomini, bambini e anziani, tutti maschi, sono stati barbaramente uccisi dai serbo bosniaci di Ratko Mladic e dalle «Tigri di Arkan» di Željko Ražnatović.

Ancora oggi non sono stati trovati tutti i responsabili dell’eccidio e mancano all’appello molti di quei corpi orrendamente falciati e sparpagliati nelle fosse comuni. Una ferita rimarcata nel 2015 dal veto posto dalla Russia alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu che definiva il massacro di Srebrenica un «genocidio»

Il voto di Mosca arrivò pochi giorni dopo la pubblicazione dell’inchiesta del domenicale britannico The Observer che aveva rivelato, sulla base di alcuni documenti declassificati, dettagli fino ad allora sconosciuti denunciando le reticenze e le gravi responsabilità di Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e delle stesse Nazioni Unite. Anche se, secondo gli autori: «Non si può affermare che le potenze occidentali, i cui negoziati portarono alla caduta di Srebrenica, fossero a conoscenza dell’entità del massacro che sarebbe seguito»

Le grandi potenze, all’epoca, erano intente nei negoziati di pace con il presidente serbo Milosevic, accordi che sigleranno quattro mesi più tardi a Dayton in Ohio ponendo così fine a tre anni e mezzo di guerra in Bosnia ed Erzegovina.

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