lunedì 25 settembre 2017

Le baby prostitute nigeriane di Calenzano (FI). Treccine, minigonne e bugie

Arrivano dalla Nigeria in provincia di Firenze, dichiarano 24-25 anni ma sono tutte minorenni. Automobilisti e camionisti contrattano la "prestazione" al massimo ribasso, talvolta perfino per soli 10 euro. Sono sfruttate e ogni giorno devono portare alla loro "mamam" gli incassi, ma i loro "clienti" fanno finta di non sapere nulla della loro schiavitù.


Basta guardarle negli occhi per capire che mentono. Dicono di avere 25, 24 anni, poi però guardano altrove, sorridono timidamente. Dicono di essere maggiorenni, riempiono i loro volti di fard, mascara, rossetto. Tingono le loro unghie con smalti fosforescenti, agghindano i loro capelli con treccine, indossano scollature provocanti, minigonne imbarazzanti.

Ma il loro sguardo non mente. Ripetono di avere 25 anni, fino allo sfinimento, ma ne hanno soltanto 16. A volte 15, perfino 14. Si vede dai loro occhi, dalle loro mani sottili. Si aggirano lungo queste strade rumorose, polverose, dove automobilisti e camionisti sfrecciano veloci per poi rallentare quando le vedono. E chiedono una prestazione al massimo ribasso. Venti euro? Troppo, quasi sempre ne bastano 15, talvolta perfino solo 10.

Ecco il discount del sesso a pagamento, il mercato delle ragazzine prostitute. Nigeriane strappate alla povertà africana e arrivate in Italia con l’inganno. Via Baldanzese, via Pratese, via di Pratignone, via Sandro Pertini. Crocevia di spedizionieri e camionisti, in uscita e in entrata al casello di Calenzano. C’è il deposito Dhl, quello della Tnt. L’hotel Mirò a due passi. Le baby prostitute stazionano qui, sono una cinquantina in tutta la zona. Consumano la prestazione in auto, oppure nascoste tra un camion e l’altro, in mezzo all'asfalto oscuro della notte.

Lungo i marciapiedi, cumuli di preservativi, fazzoletti, salviette. Residui sporchi di un mestiere che non vogliono fare. Però, ha raccontato chi tra loro ha avuto la forza e la fortuna di scappare, devono pagare debiti di almeno 30 mila euro contratti per arrivare in Italia, pena ritorsioni in patria sulle loro famiglie. Tanto vale sorridere, esorcizzare l’incubo. E così ti chiamano, ti incitano, si sbracciano per offrirti i loro corpi da bambine. Qualcuna beve alcol. Happy, Gioia, Stella, Angela. Si sono scelte i nomi, come fossero buoni auspici per un futuro di libertà.

Gioia è seduta su una sedia sgangherata, ai bordi della strada. Angela è appoggiata su un muretto. Sono quasi nude, nascondono i vestiti nei contatori, tra siepi e ortica. Jessica è la più piccola, resta seduta sul marciapiede. Una maglietta e una minigonna. Dice di non avere freddo, ma trema. «Vengo dal Ghana, abitavo ad Accra, poi la Libia, la Sicilia». Ma si sa che mentono, mentono sempre sia sull'età che sulla loro origine nigeriana.

Jessica, apparentemente la più giovane, sussurra che "qualcuno" l’ha intercettata nel centro d’accoglienza, e poi il viaggio fino in Toscana. «Adesso abito a Pistoia». E cosa ci fai qui? «Mi piace questo posto». Ma questo posto fa schifo, e lei non sa più che dire. Riversa lo sguardo a terra, si stringe nelle spalle. E dice semplicemente: «Adesso devo andare, mi riaccompagnano a casa»

Conoscono poche parole in italiano, una di queste è «passaggio». Il passaggio per ritornare a Pistoia, il passaggio di un cliente che, in cambio di una prestazione, si offre di riaccompagnarle a casa. Sono quasi le due di notte quando Jessica sale in macchina con altre due ragazze. È una Punto, il cliente contratta, poi le fa salire, innesta la prima e va. Le riporterà a casa, forse credendo di essere un benefattore.

«Succede così tutte le notti» dice Alexia, l’aria sbarazzina e il viso da bambina. Ha una borsetta bianca con una farfalla sopra, dentro ci sono i preservativi e il telefono. Meno male che hanno il cellulare, squilla di continuo. Si chiamano tra di loro, ingannano il tempo, decidono quando rientrare a casa. Chissà se progettano di scappare, chissà quali segreti si confessano. Gioia e Stella portano al collo un rosario di plastica. Sono cattoliche e dicono: «Dio ci benedica». E intanto gettano occhiate provocanti dentro le macchine.

Sostano davanti al bar Via Vai, di giorno self service per i lavoratori, di notte capolinea delle lucciole minorenni. La città capovolta della notte. Vanno avanti fino all'alba. Se non trovano il passaggio, vanno a piedi alla stazione di Sesto Fiorentino e prendono il primo treno della mattina.

Abitano a Pistoia, Montecatini, Lucca. E vengono smistate qui, in queste strade di perversione, dove i clienti arrivano copiosi, senza remore, collaudati alla contrattazione. E dove le ragazzine continuano a mentire: «Non abbiamo padroni, stiamo qui per mandare soldi a casa». Una balla colossale, hanno paura di ritorsioni e per questo dicono bugie. Soprattutto continuano a mentire sulla loro età: «Ho 23 anni» dice sicura Alexia. E in che anno sei nata? Passano i secondi, lei sgrana gli occhi e mormora: «Nel 1999». I conti non tornano. E allora sorridono, forse per non piangere, riabbassano lo sguardo. Ricominciano a passeggiare sul marciapiede, quasi assuefatte a quel via vai di macchine.

La più piccola è forse Cristina, in attesa silenziosa a due passi dal Mercatone dell’usato. Ha la pancia scoperta, e sulla pancia ha tre cicatrici. «Non è niente, non preoccuparti» dice sussurrando. Quando passano i volontari dell’associazione Papa Giovanni XXIII, armati di tè, caffè e caramelle, le propongono di lasciare la strada. «Vieni con noi, ti portiamo in una casa protetta». Riposta timida: «Devo pensarci, non adesso però». Nel frattempo, i volontari lasciano i loro numeri di cellulari, in caso di bisogno. E le ragazzine continuano a chiedere sesso, senza volerlo fare davvero.
(Da un'inchiesta del Corriere Fiorentino)



Si appartano con i clienti tra cemento e capannoni, consumano, poi rispuntano. Un’altra passata di lucida labbra, un ritocco agli occhi con il mascara, e la recita ricomincia



Articolo a cura di
Maris Davis

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