domenica 13 novembre 2016

Nigeria. Il racconto di quattro ragazze di Chibok sfuggite al rapimento

"Una terribile tragedia che non dimenticheremo"

Così Marta, una delle 276 ragazze rapite nel 2014 in Nigeria a Chibok dai jihadisti di Boko Haram. Alcune di loro sono riuscite a fuggire, altre nel tempo sono state rilasciate, di alcune non si sa più nulla. Quattro di queste ragazze oggi frequentano l'American University of Nigeria di Yola.

"Alcuni avevano vestiti e divise militari, altri il volto mascherato, tutti urlavano Allah Akbar, Allah è grande"

È così che Marta, Glory, Grace e Mary ricordano una delle tragedie recenti che ha sconvolto il mondo e che loro hanno vissuto in prima persona.

Le giovani hanno tutte un'età compresa dai 17 ai 19 anni e sono quattro studentesse nigeriane che oggi frequentano l'American University of Nigeria di Yola, ma fino alla notte del 14 aprile 2014 erano alunne della scuola secondaria di Chibok, dove il gruppo islamista Boko Haram ha fatto irruzione portando via con la forza 276 ragazze.

Loro quattro fanno parte delle 57 allieve che sono riuscite a scappare e a non finire prigioniere degli jihadisti nella foresta di Sambisa. Oggi hanno capelli pettinati e occhi truccati e quando parlano del loro presente lo fanno con entusiasmo. Raccontano di amare la loro università e confessano di volere diventare medici e avvocati ma poi, quando ritornano col pensiero alla notte del rapimento, ecco che una maschera di paura si impossessa di nuovo del loro volto.

"Sono arrivati di notte e all'improvviso. All'inizio dicevano di essere militari ed essere venuti a salvarci ma non era vero e ce ne siamo accorte subito. Hanno rapito le nostre compagne noi siamo riuscite a fuggire"

Non scendono nei dettagli, ogni passo nel ricordo significa incontrare di nuovo l'incubo. Ora sono entusiaste per la liberazione di 21 loro compagne ma non sanno nulla del destino delle altre. Pregano per loro e sperano di poterle abbracciare; ma c'è solo la speranza, e nessuna certezza.
(Radio Vaticana)


Condividi su Facebook

Articolo di
Maris Davis

Nessun commento:

Posta un commento