sabato 10 settembre 2016

Il Kenya determinato a smantellare il più grande campo profughi al mondo, ma ..

La sua chiusura è stata più volte annunciata, ma mai davvero messa in pratica. Ecco perché.

Il campo profughi di Dabaab, Kenya
Il campo profughi di Dadaab, hub commerciale o miseria sociale? Dopo le minacce del governo keniota di voler chiudere entro novembre il più grande campo profughi al mondo, l’Alto Commissario ONU per i Rifugiati (UNHCR) compie una missione in Kenya e Somalia per incontrare le autorità locali e gli operatori umanitari.

L'Alto Commissariato ONU per i Rifugiati è contrario al rimpatrio degli oltre trecentomila rifugiati somali presenti a Dadaab senza il consenso del governo di Mogadiscio. Ma cos'è in realtà questo campo di cui tutti parlano? Per alcuni "un hub commerciale", un grande business difficilmente sostituibile, per altri un simbolo della miseria sociale dei profughi in Africa.

"Con oltre 350mila rifugiati, di cui 330mila somali in fuga dalla guerra civile scoppiata nel loro paese nel 1991, Dadaab è considerato il più grande campo profughi al mondo"

Campo profughi Dadaab, Kenya .. È il più grande "campo profughi" al mondo, attualmente ospita circa 350.000 persone, per lo più somali. Aperto nel 1991 per dare dare ospitalità provvisoria alle famiglie in fuga dalla guerra civile in Somalia, è diventato una vera e propria città. Molti dei suoi abitanti sono nati e cresciuti nel campo, e pur essendo di nazionalità "somala" non hanno mai messo piede in Somalia, nonostante il confine si trovi solamente a una settantina di chilometri.

Dopo l'attentato all'università di Garissa dove sono stati uccisi 148 studenti (marzo 2015) il governo del Kenya ha manifestato la volontà di chiudere il campo, ritenuto un covo dove si infiltra il terrorismo islamico di Al-Shabaab.

Le proteste di decine di associazioni umanitarie che operano sul posto e delle stesse Nazioni Unite, per il momento hanno scongiurato la chiusura "coatta" del campo di Dadaab. La sua chiusura forzosa lascerebbe centinaia di migliaia di persone senza un riparo e senza protezione, e provocherebbe una catastrofe umanitaria senza precedenti. Ma oggi il Kenya è determinato a chiuderlo entro il prossimo novembre.

I rimpatri forzati di rifugiati somali dal campo profughi di Dadaab sarebbe un vero e proprio disastro umanitario, i ritorni sì, ma soltanto con l’accordo dell'UNHCR e del governo somalo. Dal dicembre 2014, circa 14.000 rifugiati somali hanno aderito al programma di rimpatrio volontario, al quale si sommano "altre decine di migliaia di rimpatri volontari" senza l’assistenza dell’Alto Commissario ONU per i Rifugiati.

Oggi la Somalia è un paese instabile, distrutto da due decenni di guerra civile, dove almeno metà del territorio è sotto il controllo degli integralisti islamici di Al-Shabaab e delle Corti Islamiche che avversano l'attuale governo riconosciuto dalla Comunità Internazionale - leggi - (L'integralismo islamico di al-Shabaab conquista la Somalia)

In questo contesto il ritorno improvviso dei trecentomila somali presenti nel campo profughi di Dadaab, creerebbe senz'altro instabilità e una grave crisi umanitaria. Quasi nessuno dei somali di Dabaab ha più riferimenti sicuri in Somalia, non saprebbero nemmeno dove andare.

Con oltre 350mila rifugiati, di cui 330mila somali in fuga dalla guerra civile scoppiata nel loro paese nel 1991, Dadaab è considerato il più grande campo profughi al mondo. Non è la prima volta che Nairobi annuncia di voler chiudere Dadaab, così come non è la prima volta che intende farlo per motivi di sicurezza legati alla minaccia islamista degli Al-Shabaab, un movimento terroristico somalo accusato di aver organizzato e pilotato a partire dal campo di Dadaab gli attacchi contro l’Università di Garissa nel 2015 e il centro commerciale Westgate a Nairobi due anni prima.

Finora il governo keniota non ha mai corroborato le sue accuse con prove inconfutabili, ma la sua determinazione sta suscitando non poche polemiche sui media e nella Comunità internazionale. Molti temono che Dadaab possa creare una crisi migratoria senza precedenti. Ma è davvero così?

Dadaab, un hub commerciale. Forse no, ma basta andare negli archivi del sito di Le Monde e scovare un articolo il cui titolo è inequivocabile: "Come il Kenya accoglie i rifugiati guadagnandoci". Pubblicato nel settembre 2015, il reportage del quotidiano francese spiega i motivi per i quali non conviene a nessuno chiudere Dadaab.

Definito dal giornale keniota Business Daily "un hub commerciale", il campo profughi consente innanzitutto al Kenya di raccogliere 100 milioni di dollari all'anno fornendo ai rifugiati, alla popolazione locale e al mondo umanitario fino a diecimila posti di lavoro. Non a caso, oggi Dadaab "è il principale fornitore di lavoro di una provincia abbandonata dal governo sin dall'indipendenza, negli anni ’60"

"Definito dal giornale keniota Business Daily un hub commerciale, il campo profughi consente innanzitutto al Kenya di raccogliere 100 milioni di dollari all'anno fornendo ai rifugiati, alla popolazione locale e al mondo umanitario fino a diecimila posti di lavoro"

A rendere lo smantellamento ancora più complicato è il tessuto socio-economico che si è venuto a creare da quando Dadaab è stato istituito nel 1991. Da allora "i rifugiati somali e i kenioti hanno sviluppato molti affari in comune. I kenioti vendono ai rifugiati bestiame, vestiti, libri, biscotti e latte. In cambio, i somali vendono materiale elettronico e prodotti agricoli a buon mercato". Il prezzo del riso o dello zucchero venduto nei campi e dintorni è inferiore del 20% in media rispetto alle altre città del Kenya. Già, perché con i suoi 350mila abitanti, Dadaab è diventato il terzo centro urbano più popolato del paese. I benefici tratti dai campi per le comunità locali è pari a 14 milioni di dollari all'anno, il che equivale al 25% del PIL della provincia di Dadaab.

A dimostrazione che Dadaab è un hub commerciale estremamente dinamico, un rapporto pubblicato nel 2010 dai governi norvegese e danese, Dadaab stima a più di cinquemila i commerci disseminati nella città e nei campi. Ancora più sorprendente, una ricerca condotta nel 2014 dal direttore del Centro studi sui rifugiati dell’università di Oxford, Alexander Betts, rivela che l’impatto economico dei rifugiati nel paese è positivo. Questo nonostante il governo kenyota continui a negare ai rifugiati il diritti di sviluppare un’attività economica al di fuori del campo profughi.

L’Uganda, che accoglie 29mila rifugiati somali, fa esattamente il contrario. "A Kampala, la capitale, il 43% dei rifugiati sono impiegati da cittadini ugandesi, mentre viceversa il 40% dei lavoratori impiegati in commerci gestiti da rifugiati sono ugandesi"

"I benefici tratti dai campi per le comunità locali è pari a 14 milioni di dollari all'anno, il che equivale al 25% del PIL della provincia di Dadaab"

Ma non è tutto oro quel che luccica. Anzi, secondo Amnesty International in Africa orientale gli aspetti negativi di Dadaab prevalgono su quelli positivi.

L'arrivo di aiuti umanitari a Dabaab, 2015
"La prima funzione di un campo profughi non è certo quella di generare ricchezza. Prima di essere un hub economico. Dadaab è un hub della miseria, dove le popolazioni vivono prive di speranza. Oltre alla povertà, il campo può anche essere pericoloso"

Nel maggio 2015, le infiltrazioni dei terroristi somali di Al-Shabaab avevano costretto Medici Senza Frontiere ad evacuare 42 operatori umanitari - leggi -





Articolo di
Maris Davis



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